Il carabiniere che fece fuoco sul giovane Ugo Russo il 1 marzo 2020, uccidendolo, si avvia vero la conclusione dell’indagine con l’accusa di omicidio volontario. A distanza di quasi 3 anni da quel triste episodio, la famiglia della vittima intravede una parvenza di giustizia.

Ad oggi il carabiniere lavora al nord Italia. La sua esperienza a Napoli non è stata particolarmente felice. Quel nefasto 1 marzo si trovava in auto con la sua fidanzata presso via Generale Orsini quando il giovane Ugo si avvicinò per tentargli di scippargli il Rolex. Fu a quel punto che il 26enne carabiniere aprì il fuoco. In tutto furono 4 i proiettili. Due di queste centrarono in pieno la vittima. Una prima volta alla spalla e la seconda, quella mortale, alla testa.

Omicidio Ugo Russo: non si tratta di legittima difesa

Secondo la Procura di Napoli, (l’inchiesta è stata coordinata dai pm Simone De Raxas e Claudio Siragusa) non è stato un atto di legittima difesa. L’omicidio sarebbe infatti volontario. Ugo Russo si era già dato alla macchia quando l’agente delle forze dell’ordine aveva aperto il fuoco. Non c’era più alcun tipo di pericolo. La vita del carabiniere non era a rischio, tantomeno l’incolumità della sua fidanzata.

Cosa che invece proveranno a smontare i difensori dell’indagato, gli avvocati Enrico Capone e Mattia Floccher, che ora hanno 20 giorni di tempo per depositare memorie difensive, chiedere un interrogatorio o proponendo supplementi di indagine.

La rivolta dei Quartieri Spagnoli

Sin dal primo istante in cui fu decretata la morte per omicidio del giovane Ugo Russo, i Quartieri Spagnoli ed i suoi abitanti hanno reclamato a gran voce giustizia. Tante sono state le manifestazioni, molti gli eventi organizzati dal padre della vittima. Ancora oggi, ai balconi e alle finestre dei residenti sono esposti tanti striscioni che citano “Verità e giustizia per Ugo“. Si attendono ulteriori sviluppi.

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