Ieri è stato svelato il testo della canzone di Geolier, “I p’ me, tu p’ te”, che porterà a Sanremo 2024, sui social si è subito scatenata una bufera per il napoletano un po’ storpiato. Non c’è dubbio che il giovane cantautore di Secondigliano abbia perso per strada quella che è la vera grammatica napoletana ma il problema non è solo suo, la lingua napoletana (non un dialetto) non viene insegnata nelle scuole. In tanti altri posti del mondo, nelle scuole è trasmessa la cultura dei loro luoghi. Emblematico è il caso del catalano.
Geolier a Sanremo: le critiche
A lanciare il primo acuto contro il giovane rapper è stato il giornalista e divulgatore storico Angelo Forgione che ha così commentato: “Spaventato già dal titolo, ho letto oggi il testo della canzone di Geolier per il Festival di Sanremo. Non sono arrivato alla fine che mi si è improvvisamente accecata la vista e poi mi è apparso Salvatore Di Giacomo sanguinante in croce. Vocali sparite, totale assenza di raddoppio fonosintattico delle consonanti, segni di elisione inesistenti, o inventati dove non ci vogliono (vedi il titolo “I p’ me, tu p’ te”). Una lingua perfetta per il rap e non solo, ma il Napoletano, non questo scempio. E chi non prova imbarazzo è complice dell’offesa dell’alta dignità dell’unico sistema linguistico locale d’Italia di respiro internazionale, proiettato sull’orizzonte artistico globale proprio attraverso la canzone. È la deturpazione dei costumi. Altro che ananas sulla pizza”.
Alle parole di Forgione si sono uniti anche tanti altri personaggi partenopei come Maurizio De Giovanni e Massimiliano Gallo. Non mancano però anche coloro che difendono il giovane rapper di Secondigliano invitando gli haters a guardare il numero di visualizzazioni di Geolier, la sua fama, i testi ed i significati delle sue canzoni.
Analfabetismo patenopeo
Le parole del giornalista sono indubbie e veritiere ma allora perchè non si lotta per portare la nostra lingua nelle scuole? Si parla spesso di tradizioni, di usi e costumi e poi adottiamo la pizza con l’ananas e chiudiamo le porte alla nostra lingua. Il testo di Geolier è sbagliato? Certo che si, ma dove ha imparato il napoletano? Per strada, così come la maggior parte dei partenopei. Possiamo definirci analfabeti della nostra lingua ma la colpa non è nostra.
Insegnare il napoletano a scuola quindi vorrebbe dire dare nuovo lustro alla nostra cultura. Studiare il napoletano di De Giacomo, di De Crescenzo e di Eduardo De Filippo significherebbe elevare il nostro patrimonio culturale e significherebbe anche resettare, in parte, quelle differenze sociali interne. Chi parla il napoletano, soprattutto quello “sporco” di Geolier, viene spesso etichettato come qualcuno che proviene dai quartieri popolari mentre chi usa solo l’italiano. Al contrario, proverrebbe da zone (sulla carta) più distinte come il Vomero o Posillipo. Ma forse è proprio per questo motivo che non si insegna a scuola.